Il documento




Introduzione
La resistenza agli antimicrobici è oggi uno tra i più importanti problemi di salute pubblica ed è destinata a diventare una delle principali sfide per la salute dei prossimi decenni: questa è l’autorevole posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1° Rapporto globale sulla Resistenza Antimicrobica (AMR), pubblicato il 30 aprile 2014.1 La disponibilità di antibiotici efficaci rappresenta uno strumento centrale nella medicina moderna sia in ambito umano sia in ambito veterinario. La crescente incidenza delle infezioni da microrganismi multiresistenti ( Multi-Drug Resistant Organisms, MDRO), che indica microorganismi resistenti a più di una classe di antimicrobici, ma di cui esistono diverse definizioni,2,3 riduce, talora in maniera drammatica, l’armamentario terapeutico a disposizione del clinico, determina un aumento della complessità assistenziale con incremento di morbosità, mortalità e costi associati all’assistenza sanitaria, e genera un allarme sociale di difficile gestione.1 In ambito veterinario ed agricolo la diffusione delle resistenze potrebbe avere un serio impatto sulla salute animale, con possibilità di ricadute significative sulla capacità produttiva e di trasmissione agli operatori del settore ed alla popolazione generale. L’antimicrobico-resistenza è un problema crescente di dimensioni globali che interessa la società nella sua totalità: per questo deve essere affrontato in un’ottica generale, quella della One Health, che riconosce che la salute umana è correlata alla salute animale e dell’ambiente. Per affrontare in modo sistemico questo problema ogni Paese membro dell’OMS ha accettato di definire un programma nazionale di lotta all’antimicrobico-resistenza entro il 2017.4
In Europa la resistenza dei batteri agli antibiotici è causa di almeno 25 mila morti ogni anno, una cifra destinata a decuplicare entro 35 anni. Nel mondo muoiono per infezioni batteriche 700 mila persone ogni anno e si valuta che entro il 2050 le vittime potrebbero salire a 10 milioni/anno, un triste primato che andrebbe a superare quello delle morti per tumore, stimate per lo stesso anno in 8,2 milioni.5 La situazione è complicata, negli ultimi anni, da un lato dall’andamento della diffusione delle resistenze agli antibiotici, in rapido aumento, e dall’altro dal drammatico calo dello sviluppo e registrazione di nuove molecole antibiotiche.1,5,6,7 Le conseguenze di questa inversa tendenza hanno, ovviamente, anche un impatto di natura economica: si stima, infatti, che la necessità di utilizzare antibiotici di seconda o terza linea per la cura di numerose infezioni, spesso esitanti in ricoveri, comporti già oggi per gli ospedali dell’Unione Europea dei costi aggiuntivi che ammontano a circa € 1,5 miliardi ogni anno.5 
Mentre la questione delle resistenze antibiotiche nei batteri gram-positivi sembra complessivamente sotto controllo per la ancora buona disponibilità di farmaci attivi, nonché per la tipologia delle resistenze batteriche nelle quali il ruolo di elementi genetici mobili non è prioritario, il problema più rilevante riguarda i batteri gram-negativi.
Nel nostro Paese il problema è reso molto complesso per il convergere di diversi fattori:
• il consumo di antibiotici è tra i più elevati in Europa in medicina umana, in ambito sia comunitario che ospedaliero, ed in medicina veterinaria;8,9,10
• il consumo di antimicrobici a livello comunitario è rimasto stabilmente elevato negli ultimi 5 anni: nel 2015 è stato pari a 22,1 DDD/1000 giorni abitante;11
• il consumo di soluzioni idroalcoliche per l’igiene delle mani, indispensabile per limitare la trasmissione crociata dei microrganismi multiresistenti, è fra i più bassi in Europa;8 
• è in corso un’epidemia a livello nazionale di infezioni da Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE); il microrganismo maggiormente coinvolto è Klebsiella pneumoniae, la cui proporzione di resistenza ai carbapenemi è passata dall’1,2% nel 2009 al 33,5% nel 2015;12
• la diffusione di numerosi microrganismi multiresistenti, quali Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosa multiresistenti (MDR) oppure estesamente resistenti o pan-resistenti (XDR) è un problema rilevante in molti ospedali;12 
• la situazione finanziaria è difficile e la disponibilità di risorse necessarie per interventi mirati è limitata;
• fino al 2017 non era stato preparato e pubblicato un Piano Nazionale per il contrasto all’antimicrobico-resistenza, lasciando la preparazione di piani strategici a livello Regionale e Locale.

L’impatto delle multiresistenze sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è già oggi rilevante, ma potrebbe divenire ancor più critico nei prossimi anni, con un incremento di morbosità, mortalità e dei costi legati alla progressiva diffusione delle antimicrobico-resistenze. Il problema non è solo a carico del nostro Paese: alcuni studi ipotizzano infatti che a livello mondiale la diffusione massiccia dell’antimicrobico-resistenza possa comportare un calo del prodotto interno lordo nel 2050 pari al 3,5%.5 Le istituzioni italiane si sono mosse per il controllo di questo problema con interventi sia a livello centrale, ad esempio con la Circolare Ministeriale sulle batteriemie da Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE), sia a livello regionale, con interventi mirati, che hanno permesso di ottenere alcuni risultati favorevoli, ma non ancora di sistema.13,14,15,16
Per far fronte al problema dell’antimicrobico-resistenza sono necessari diversi interventi, fra cui sono fondamentali quelli relativi alla sorveglianza e al controllo del consumo di antibiotici sia in ambito umano che animale. Nella medicina umana deve essere razionalizzato l’utilizzo di queste molecole in tutto il percorso di continuità delle cure: in ambito comunitario, dove si osserva l’80-90% dei consumi, nelle strutture di degenza per pazienti acuti e nelle strutture di riabilitazione e di lungodegenza.17
Il problema di un corretto uso degli antibiotici in ambito comunitario, e quindi dell’uso di determinati “criteri di scelta”, è presente dagli anni ‘70, anche se allora spesso si preferiva parlare di terapia antibiotica “ragionata” più che di appropriatezza sull’uso degli antibiotici. In quegli anni la grande disponibilità di antibiotici ad ampio spettro quali le cefalosporine garantiva la massima soddisfazione sia del medico che del paziente. Già tra gli anni ‘80 e ‘90 iniziava a crescere la consapevolezza della necessità di trovare ed esplicitare adeguatamente dei criteri che fungessero da guida ad una corretta terapia antibiotica: ne è prova l’attenzione che diverse società scientifiche dedicarono a questo argomento, con l’introduzione del concetto di “terapia antibiotica ragionata” e cioè dell’analisi dell’interazione caso- specifica delle componenti “microbi – farmaci – paziente”.18 Anche se negli anni successivi si è andata sviluppando una maggiore attenzione al problema, nella pratica medica quotidiana il comportamento prescrittivo non sembrava, e tuttora in molte situazioni non sembra, seguire criteri chiaramente definiti.
Un dato certo è che, a oggi, la prospettiva, o la speranza, di un nuovo super antimicrobico non può rappresentare la strategia di riferimento per affrontare e contenere il fenomeno dell’antimicrobico-resistenza. A fronte dell’evidenza che l’eccesso di esposizione della popolazione agli antimicrobici è una delle variabili più strettamente correlate alla selezione di resistenze, la comunità scientifica ha preso coscienza in modo sempre più convinto della necessità di pervenire ad un vero e proprio “governo” della terapia antimicrobica. Con tale termine si definisce il principio della responsabilità prescrittiva di contesto e non solo individuale, ossia la necessità che la prescrizione della terapia antimicrobica rispetti la finalità di garantire al singolo paziente l’opzione più efficace, ma che altresì comporti il minore impatto ecologico possibile.19,20,21,22 Questo connubio tra le esigenze del singolo medico e del singolo malato con quelle dell’ecosistema di cui fanno parte rappresenta il substrato concettuale dell’ antimicrobial stewardship. La necessità che ogni tipo di organizzazione sanitaria, azienda ospedaliera o territoriale, si doti di idonei strumenti di antimicrobial stewardship è divenuta stringente ed universalmente riconosciuta. Parimenti è oggi chiaro che gli impegni ad essa correlati non sono solo un problema di singoli professionisti dedicati, ma una priorità di salute pubblica, come ha di recente focalizzato Diane Ashiru-Oredope, farmacista leader del programma di Antimicrobial Stewardship del Public Health England.23 Vi sono tuttavia ancora molti problemi irrisolti, soprattutto quando, una volta condivisi i principi dell’antimicrobial stewardship, si passi alla valutazione degli aspetti metodologici ed alla definizione degli indicatori di risultato. È emersa, infatti, nell’ultima decade una tendenza errata a considerare il contenimento dei costi come l’obiettivo primario: ciò significa certamente svilirne profondamente il significato. Inoltre, vi sono significativi contrasti rispetto all’efficacia delle diverse strategie prospettate: vi sono studi molto orientati su interventi di tipo restrittivo, imposti centralmente a livello pan-ospedaliero, e al contrario altri che supportano strategie di tipo persuasivo, che, benché sempre a gestione centripeta, si propongono di far crescere nel mondo medico ed infermieristico la cultura della coerenza prescrittiva.22,24
L’appropriatezza prescrittiva degli antibiotici è un atto complesso per il quale occorre bilanciare non solo le esigenze individuali del paziente e le caratteristiche microbiche dell’infezione, ma anche la necessità di aiutare a conservare nel tempo l’efficacia dei principali antibiotici usati nella quotidiana pratica clinica. Appare quindi evidente quanto un’energica azione di governo in merito all’utilizzo degli antimicrobici possa avere ricadute favorevoli sull’evoluzione delle resistenze. Ma la strada è ancora in salita: intervenire sui comportamenti prescrittivi della classe medica è difficile e spesso frustrante, poiché tali farmaci sono normalmente prescrivibili da ogni professionista, ad ogni livello. Ad oggi, solo in pochi e ristretti ambiti assistenziali di elevata complessità ed eccellenza la gestione degli antimicrobici viene “affidata” a professionisti dedicati, ma resta ancora molto difficile convincere la popolazione medica che “un guardiano degli antibiotici” sia una figura sempre più necessaria. Il cambio di mentalità dovrà maturare prima di tutto nelle scuole di medicina: è auspicabile che le future generazioni di medici guardino agli antibiotici come ad una risorsa non rinnovabile, una categoria di farmaci tanto fondamentali quanto fragili, il cui uso deve essere mediato da un’approfondita cultura specifica e da un alto senso di responsabilità verso l’intera comunità. E tutto ciò senza dimenticare che le popolazioni microbiche multi-resistenti si diffondono negli ospedali ed in comunità anche perché i comportamenti rispetto alle misure di controllo delle infezioni correlate all’assistenza sono ancora largamente migliorabili.17 Una corretta igiene delle mani è in grado di ridurre la trasmissione crociata di microrganismi multiresistenti, e quindi l’incidenza di infezioni gravi sostenute da questi microrganismi, così come il sistematico rispetto di precise regole igieniche ed epidemiologiche nell’approccio al paziente infetto o colonizzato da tali microrganismi.18
In effetti, in numerosi Paesi europei da almeno un decennio sono in corso campagne finalizzate a sensibilizzare medici, farmacisti, igienisti, amministratori, pazienti e semplici cittadini rispetto a questa emergenza; in Italia sono ancora scarse le azioni coordinate a livello istituzionale, ma in numerosi ospedali e regioni il livello di attenzione è elevato, pur con la variabilità gestionale che caratterizza la nostra sanità pubblica. Per tutti valga l’esempio della Regione Emilia-Romagna, che dal marzo 2013 ha sancito che ogni azienda ospedaliera o territoriale si debba dotare di un professionista referente e responsabile per le attività di antimicrobial stewardship: un atto politico ed organizzativo che va a supportare una necessità scientifica primaria e riconosce il principio secondo il quale accanto ad investimenti finalizzati a trovare nuove soluzioni farmacologiche ne siano necessari ed altrettanto fondamentali altri, che abbiano l’obiettivo di razionalizzare l’utilizzo delle risorse attualmente disponibili.25
Le strategie per controllare l’evoluzione dei fenomeni di resistenza agli antimicrobici devono essere attuate su più livelli, perché il problema non può essere visto solo in un’ottica prettamente scientifica, ma deve altresì diventare una priorità sociale, con conseguente coinvolgimento del mondo politico ed economico. A livello istituzionale sono in fase di organizzazione interventi diversi richiesti da documenti nazionali strategici: il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2014-2018 prevede interventi mirati al controllo della diffusione dell’antimicrobico-resistenza e si prefigge di promuovere una maggior consapevolezza sul buon uso degli antibiotici;26 il Ministero della Salute ha messo in campo un’azione indirizzata ad affrontare questo specifico problema tramite la predisposizione del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza (PNCAR);27 infine, il Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) ha finanziato un nuovo progetto volto alla definizione delle buone pratiche per la sorveglianza ed il controllo dell’antibiotico-resistenza nel nostro Paese.28
Un’azione coordinata a livello nazionale anche da parte degli attori non istituzionali, in particolare delle Società Scientifiche, permetterebbe di affrontare in modo condiviso, capillare e sistemico questo complesso problema. Un’esperienza simile è già stata fatta in India, dove un gruppo costituito da società scientifiche ed istituzioni ha stilato, nella Chennai Declaration del 2012, un elenco di indicazioni condivise sulle strategie da seguire nel controllo della diffusione delle multiresistenze.29,30 Anche nel nostro Paese esistono esperienze e proposte sull’argomento, come la Carta degli Antibiotici di Milano, che già nel 2009 inquadrava l’importanza del problema e forniva indicazioni sul comportamento del singolo medico nella scelta razionale della prescrizione antibiotica.31 Il progetto MuSICARe si vuole muovere nel solco di quanto già definito in passato cercando, ove possibile, di ampliare gli orizzonti di intervento, condividendoli fra molti, diversi attori.
Per definire gli obiettivi principali di questo progetto multi societario si è fatto riferimento a numerosi documenti nazionali ed internazionali, in primo luogo al Global Action Plan on Antimicrobial Resistance, pubblicato dall’OMS nel 2015, che identifica cinque principi generali da seguire: 1) coinvolgimento di tutta la società oltre che della medicina umana e veterinaria nell’ambito della strategia One Health, 2) prevenzione in tutte le aree dove sia possibile, 3) garanzia dell’accesso agli antimicrobici evitandone l’uso eccessivo, 4) introduzione di interventi per la sostenibilità, 5) implementazione di obiettivi incrementali. Di grande importanza per le strategie del nostro Paese, e di conseguenza per la stesura di MuSICARe, sono anche i documenti sul contrasto all’antimicrobico-resistenza pubblicati dall’Unione Europea.18,32,33,34,35,36,37
Siamo evidentemente solo all’inizio di una storia che in larga misura deve ancora essere scritta e che la comunità scientifica dovrà affrontare in modo rigoroso con il mondo politico, che dovrà garantire i necessari investimenti; soprattutto ci sarà bisogno di due componenti essenziali della medicina, la cultura e l’onestà intellettuale di accettare sempre il confronto multidisciplinare.

Obiettivi
Questo progetto ha come obiettivo principale quello di porre all’attenzione della comunità scientifica e delle Società Scientifiche italiane il problema del controllo e della prevenzione dell’antimicrobico-resistenza nel nostro Paese, attraverso la formazione di un vasto gruppo di lavoro multisocietario che permetta la costruzione di una rete di interessi sull’argomento. MuSICARe vuole essere uno strumento di utilità pratica nell’identificare obiettivi perseguibili dal sistema da qui ad almeno i prossimi cinque anni, definendo anche obiettivi intermedi che possano essere raggiunti entro uno e tre anni. Il progetto vuole muoversi su due livelli: 1) definire gli obiettivi direttamente perseguibili dalle singole Società Scientifiche e 2) identificare le attività e gli assetti organizzativi istituzionali, per i quali le Società Scientifiche possono impegnare le proprie risorse per un eventuale supporto. Infine, il progetto si prefigge l’obiettivo pratico di identificare degli indicatori di processo e di risultato da rilevare periodicamente per valutare nel tempo il raggiungimento degli obiettivi proposti.
Il progetto MuSICARe ha un obiettivo incrementale e verrà inviato a tutte le Società Scientifiche Italiane al fine di ottenere la più vasta partecipazione e condivisione.

Obiettivo principale
• Limitare la diffusione dell’antimicrobico-resistenza nel nostro Paese, agendo a sostegno del PNCAR.

Obiettivi secondari
• Favorire la consapevolezza e la comprensione del problema dell’antimicrobico-resistenza attraverso la comunicazione, l’educazione e la formazione.
• Riconoscere nel controllo dell’antimicrobico-resistenza una priorità di ogni singola Società Scientifica.
• Promuovere la conoscenza attraverso la sorveglianza e la ricerca.
• Valutare lo stato dell’arte sul controllo della diffusione dell’antimicrobico-resistenza in Italia.
• Ridurre l’incidenza di infezioni attraverso interventi di prevenzione.
• Ottimizzare l’uso degli antimicrobici in medicina umana e veterinaria.
• Identificare e replicare le esperienze di successo del nostro Paese per limitare la diffusione dell’antimicrobico-resistenza.
• Definire gli indicatori per il monitoraggio del processo di controllo dell’antimicrobico-resistenza nel nostro Paese.
• Sostenere un ambiente che permetta gli investimenti in nuovi farmaci, strumenti diagnostici, vaccini ed altri interventi di prevenzione, controllo, diagnosi e terapia.