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A cura di Giulia De Angelis




Primo studio randomizzato controllato su disinfezione ambientale e acquisizione di infezioni correlate all’assistenza
La disinfezione ambientale riveste, senza dubbio, un ruolo importante nella prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza (ICA); infatti diversi studi hanno dimostrato la sua efficacia nel ridurre la trasmissione e/o nel prevenire il rischio di ICA. Su uno degli ultimi numeri di Lancet Infectious Diseases sono stati pubblicati i risultati del primo studio randomizzato controllato (acronimo REACH - Researching Effective Approaches to Cleaning in Hospitals) su questo tema. Lo studio ha seguito un tipo di arruolamento “a cluster stepped wedge”, un disegno che si adotta quando il tipo di intervento da studiare è tale per cui la randomizzazione comune, cioè identificare  un gruppo di intervento e un gruppo di controllo, non sia applicabile. Nel disegno “stepped wedge” i clusters sono rappresentati dagli ospedali (o reparti, o gruppi di pazienti ecc.), con adozione progressiva del protocollo da parte di un cluster alla volta secondo un calendario determinato in modo casuale (definito appunto “stepped wedge”) che al termine dello studio avrà coinvolto tutti i clusters. Nel trial REACH i clusters erano 11 ospedali australiani, selezionati sulla base dei seguenti criteri: avere un reparto di terapia intensiva, almeno 200 posti letto, e un programma di controllo delle infezioni. Per quanto riguarda il tipo di intervento, gli autori hanno elaborato un bandolo di raccomandazioni, selezionate in seguito ad una revisione sistematica della letteratura, che ha incluso: tipi ottimali di detergenti, frequenza di pulizia, tecniche di pulizia, strategie di controllo, formazione del personale addetto alla pulizia ambientale e creazione di una commissione ospedaliera specifica. La comunicazione ha rivestito un ruolo fondamentale nell’intervento tramite attività promozionali per aumentare il profilo e l'importanza della pulizia nel ridurre le infezioni e per sostenere un cambiamento culturale nel personale addetto alla pulizia ambientali. È stato incoraggiato il contatto quotidiano tra il personale addetto alle pulizie e i dirigenti, ed un rappresentante del personale addetto alle pulizie è stato qualificato all’interno di commissioni per il controllo infezioni. La principale misura di raggiungimento dell’obiettivo dello studio era l’incidenza di ICA (per 10.000 giorni-paziente) da enterococchi vancomicina resistenti (VRE) e Clostridium difficile e infezioni del torrente circolatorio da Staphylococcus aureus. Obiettivo secondario era invece la misura del miglioramento dell’igiene ambientale attraverso una tecnologia a marcatori fluorescenti (DAZO UV, Ecolab, St Paul, MN, USA), che prevede punti di gel applicati alle superfici. I punti sono invisibili ad occhio nudo, resistono all'abrasione e vengono rimossi completamente mediante una pulizia di routine. Nella fase pre-intervento, si sono verificati 230 casi di infezione da VRE, 362 casi di batteriemia da S. aureus e 968 infezioni da C. difficile, per 3.534.439 giorni-paziente. Durante l'intervento, si sono invece registrati 50 casi di infezione da VRE, 109 casi di batteriemia da S. aureus e 278 infezioni da C. difficile, per 1.267.134 giorni-paziente. Dopo l'intervento, l’incidenza delle infezioni da VRE è diminuita da 0.35 a 0.22 per 10.000 giorni-paziente (rischio relativo 0.63, 95% CI 0.41-0.97, p = 0.03). L'incidenza di infezioni del torrente circolatorio da S. aureus (da 0.97 a 0.80 per 10.000 giorni-paziente; RR 0.82, 0.61-1.12, p = 0.12) e le infezioni da C. difficile (da 2.34 a 2.52 per 10.000 giorni-paziente; RR 1.07, 0.88-1.30, p = 0.46) non sono cambiate in modo significativo. Per quel che riguarda l’obiettivo secondario, l'intervento ha aumentato la percentuale di punti di contatto puliti nei bagni dal 55% al 76% e nelle camere di degenza dal 64% all'86% (p <0.0001).
Mitchell BG, Hall L, White N, et al. An environmental cleaning bundle and health-care-associated infections in hospitals (REACH): a multicentre, randomised trial. Lancet Infect Dis 2019;19(4):410-8




Antisepsi con clorexidina e prevenzione delle infezioni urinarie correlate a catetere
Le infezioni del tratto urinario associate a catetere (CA-UTI) sono tra le infezioni correlate all’assistenza (ICA) più frequenti. Le linee guida internazionali disponibili sottolineano che l'antisepsi  del meato uretrale prima dell’inserimento del catetere sia una procedura di dubbia efficacia per la riduzione del rischio di infezione. Di 14 studi individuati attraverso una revisione sistematica della letteratura, 7 valutavano l’uso di iodopovidone, 2 l’uso di clorexidina ed i rimanenti l’uso di saponi o altri agenti antibatterici rispetto a pulizia con acqua o soluzione salina. La metanalisi dei 14 studi non mostrava alcun beneficio degli agenti antisettici rispetto agli agenti non antisettici nella prevenzione delle CA-UTI. Sulla base di questa evidenza, considerando che pochi studi avevano indagato l’uso di clorexidina a tal scopo, gli stessi autori della revisione sistematica hanno valutato l’efficacia della disinfezione del meato uretrale tramite clorexidina 0,1% rispetto a soluzione salina 0,9% sull’incidenza di batteriuria asintomatica e CA-UTI (per 100 giorni-catetere) in 1.642 partecipanti provenienti da 3 ospedali australiani, tramite un trial randomizzato controllato, con arruolamento stepped wedge. L’intervento si è rivelato estremamente efficace: l’incidenza di batteriuria asintomatica CA-UTI si è ridotta del 74% (incident rate ratio 0.26, 95% , CI 0.08-0.86, p=0.026), e l’incidenza di CA-UTI del 94% (incident rate ratio 0.06, 95% CI 0.01-0.32, p=0.00080). Nessun effetto avverso è stato osservato nel periodo di intervento.  
Fasugba O, Cheng AC, Gregory V, et al. Chlorhexidine for meatal cleaning in reducing catheter-associated urinary tract infections: a multicentre stepped-wedge randomised controlled trial. Lancet Infect Dis 2019;19(6):611-9




Trapianto fecale e decolonizzazione intestinale di batteri gram negativi multiresistenti
Le infezioni da Enterobacteriaceae multiresistenti, sia produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) che carbapenemasi (CPE), sono associate a elevata morbilità, mortalità e costi. Il controllo della diffusione di questi ceppi è complicato dalla persistenza dello stato di colonizzazione intestinale per mesi o anni, tale per cui i pazienti colonizzati rimangono a rischio di sviluppare un’infezione invasiva dallo stesso ceppo e/o di rappresentare un serbatoio per la trasmissione ad altri pazienti. Diverse strategie di decolonizzazione per ESBL e CPE sono state proposte, con variabile efficacia, e comunque investigate attraverso studi di scarsa qualità metodologica. Sulla base di questi studi, le ultime linee guida ESCMID-EUCIC non raccomandano la decolonizzazione di questi patogeni, con forza della raccomandazione “condizionale” (cioè, gli effetti benefici dell’aderenza alla raccomandazione superano verosimilmente quelli negativi, ma esistono ancora dei dubbi in merito).
Il trapianto fecale di microbiota è il trasferimento di materia fecale contenente microbiota dell’intestino distale da un donatore sano a un paziente con disbiosi o alterazione del proprio microbiota intestinale. L’obiettivo del trapianto è quello di trattare la patologia in corso ripristinando la diversità filogenetica intestinale e ricreando il microbiota di un individuo sano. Questa pratica, ormai applicata in molti centri per il trattamento delle infezioni da Clostridium difficile, con percentuali di successo vicine al 100%, è ormai materia di studio per il trattamento di altre condizioni patologiche o parafisiologiche che vedano come nodo centrale la disbiosi. Una di queste condizioni è, appunto, la colonizzazione da batteri multiresistenti. Già nelle lineeguida sopra citate, gli esperti avevano valutato l’efficacia del trapianto di microbiota fecale per la decolonizzazione da batteri gram-negativi MDR. Anche in questo caso, l’evidenza risultava ancora insufficiente per fornire qualsiasi tipo di raccomandazione.
Nuovi dati sono ora a disposizione grazie ad uno studio pubblicato su Clinical Microbiology and Infection. L’ipotesi dei ricercatori è stata quella di utilizzare il trapianto fecale per ripristinare lo stato di eubiosi intestinale in pazienti colonizzati da ESBL e/o CPE, dopo decolonizzazione con colistina solfato (2.000.000 UI quattro volte al giorno) e neomicina (350 mg quattro volte al giorno) per 5 giorni, per via orale. L’intervento è stato valutato in 4 centri (in Svizzera, Francia, Olanda e Israele) tramite uno studio randomizzato controllato. L’obiettivo primario è stato misurare l’impatto dell’intervento sulla persistenza di colonizzazione da ESBL e/o CPE dopo 35-48 giorni dalla randomizzazione. Obiettivi secondari dello studio erano valutare la sicurezza e la tollerabilità dell’intervento e la frequenza di resistenza a colistina nei ceppi isolati. In circa un anno nei quattro centri sono stati arruolati trentanove pazienti colonizzati da ESBL (n=36) e/o CPE (n=11).  Nove su 22 pazienti nel braccio di intervento (41%) sono risultati decolonizzati al follow-up, rispetto a 5 su 17 (29%) nel gruppo di controllo. La differenza non è risultata statisticamente significativa, verosimilmente a causa del basso numero di pazienti arruolati. Infatti, non è stato possibile raggiungere la dimensione campionaria pianificata dal protocollo di studio (n=64) a causa di problemi logistici. Per quanto riguarda la tollerabilità, il 90% dei pazienti nel gruppo di intervento hanno presentato almeno un effetto collaterale, anche se in solo un caso si è registrato un effetto avverso maggiore (encefalopatia in paziente con cirrosi epatica) attribuibile ai farmaci. La frequenza di questi eventi è risultata non significativamente più alta di quella osservata nel gruppo dei controlli.  I risultati di questo studio supportano, quindi, un possibile effetto terapeutico del trapianto fecale sulla decolonizzazione da Enterobacteriaceae ESBL e/o CPE, anche se ulteriori studi saranno necessari per confermare queste osservazioni.
Huttner BD, de Lastours V, Wassenberg M, et al; R-Gnosis WP3 study group. A 5-day course of oral antibiotics followed by faecal transplantation to eradicate carriage of multidrug-resistant Enterobacteriaceae: a randomized clinical trial. Clin Microbiol Infect 2019;25(7):830-8.