Non correva l’anno 1605, ma…
(dalle pagine del diario di una Infermiera addetta al controllo delle infezioni ospedaliere)
It was not the year 1605, but…
(according to the diary of an infection control nurse)

Annise Grandi
Ufficio di Igiene Ospedaliera
Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona,
Presidio Ospedaliero “Oglio Po”.
Comitato di Redazione GImPIOS


Se dovessi descrivere con un’immagine come mi sentivo quando iniziai ad occuparmi di Infezioni Ospedaliere, probabilmente sceglierei questa:




Purtroppo non correva l’anno 1605, bensì l’anno 2000. Non solo eravamo all’inizio di un nuovo secolo, ma stava per iniziare un nuovo millennio e nel piccolo ospedale di provincia “Oglio Po” (una moderna struttura di recente costruzione sorta nel bel mezzo della pianura padana), mai nessuno, fino a quel momento, si era occupato di infezioni ospedaliere. Poco contava se da 15 anni la normativa italiana prevedeva la presenza di una infermiera addetta al controllo delle infezioni ogni 250 posti letto: in Italia, si sa, siamo molto bravi a legiferare ma purtroppo ancor più abili a raggirare le leggi o a dimenticarle nel cassetto. Trattandosi poi di infezioni correlate all’assistenza, la cosa diventa ancor più facile: basta non cercarle ed il gioco è fatto! Perché mai sprecare risorse per un problema inesistente quando queste scarseggiano e si fatica a risolvere i problemi quotidiani delle nostre corsie? La prima lezione che imparai fu proprio questa: è inutile fare l’eroe temerario che cerca di infrangere o modificare una realtà esistente quando l’argomento non è percepito come un problema, tanto meno l’utilità di una sua eventuale risoluzione. Quindi, parola d’ordine (tanto amata dagli americani, campioni in materia): “cerca, trova e distruggi!”. Tuttavia l’istinto e la mia formazione di stampo interculturale mi suggerivano che le classiche indagini “a tavolino” (vedi studi retrospettivi o a partenza dagli esami di laboratorio) rischiavano di essere vissute dai reparti come indagini poliziesche più che come studi epidemiologici, per cui i miei primi sforzi furono diretti al coinvolgimento del personale medico ed infermieristico, nella speranza che il risultato degli studi non venisse avvertito come un dato calato dall’alto ma come il frutto di un lavoro condiviso. Da qui la lezione numero due: entrare nei reparti è un po’ come calpestare un orticello appena zappato o un pavimento appena tirato a cera, insomma è indispensabile entrare “in punta di piedi”! Se pensi, tanto per fare qualche esempio, che la tua proposta di compilare una nuova scheda (“indispensabile per indagare sulle infezioni delle vie urinarie”) o di elaborare un protocollo di profilassi antibiotica perioperatoria, (“importante, visto che ogni chirurgo prescrive una profilassi diversa”), venga accolta da cori di entusiastiche approvazione, ti sbagli. Il messaggio che ti arriva è sempre lo stesso: i carichi di lavoro sono eccessivi, la burocrazia aumenta, l’informatizzazione avanza lentamente e non sempre semplifica il lavoro e poi, parola di Primario, “ci sono cose più importanti da risolvere, di infezioni ospedaliere da noi non ce ne sono!”
Quindi lezione numero tre: “entrare” nei reparti significa farsi carico anche di questo, delle lamentele continue, dell’indifferenza quando ti va bene, dell’ostilità nei casi peggiori (il mio amico Primario, quello che di infezioni non ne aveva, pretendeva un’autorizzazione scritta ogni volta che dovevo consultare una cartella del SUO reparto…) Insomma non mi ci volle molto tempo per capire che il lavoro che mi aspettava sarebbe stato alquanto complesso e sicuramente ben lontano da quello che alcune colleghe mi avevano prefigurato, cioè il classico lavoro d’ufficio, sommersa dalle carte e dalla burocrazia.
Mi fu presto chiaro, al contrario, che lavorare nel campo delle infezioni correlate all’assistenza significa imbastire un lavoro a 360 gradi, dove nulla deve essere messo da parte: serve studiare, per avere evidenze scientifiche, ma serve anche essere pratici, servono i dati epidemiologici, ma se è difficile raccoglierli è ancor più difficile renderli patrimonio comune di tutti gli operatori e non solo di pochi eletti, serve condividere e definire protocolli e linee guida, ma questi vanno poi calati e applicati nella realtà operativa e non lasciati ammuffire in un cassetto, serve comunicare e rapportarsi con tutti gli operatori, a tutti i livelli professionali, dall’ausiliario addetto ai trasporti al dirigente medico, eccetera, eccetera! E tutto questo lavoro per raggiungere fondamentalmente un obiettivo: far sì che gli operatori abbiano una percezione completamente nuova del problema “infezioni ospedaliere”, che da “problema di altri” diventi  una responsabilità condivisa da tutti. Un cambiamento culturale quindi, da agire, tra l’altro, in contesti dove la “cultura” è stata per troppo tempo relegata in un angolo o soffocata dall’urgenza sempre predominante del “fare”.
Per il nostro ospedale, una tappa fondamentale nell’implementazione del programma di prevenzione e controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) è stata l’esperienza di accreditamento con Joint Commission International, (JCI), ottenuto nel 2006. Il modello che JCI propone è centrato proprio sulla sicurezza del paziente, e prevede un’azione coordinata delle diverse figure che operano per la cura e l’assistenza dove grande importanza è data alla misurazione del problema, all’utilizzo del dato per progettare azioni di miglioramento, alla diffusione dei dati e alla formazione del personale. In questi anni il lavoro è stato grande, grazie anche alla straordinaria collaborazione di molti operatori che hanno saputo rispondere con professionalità e intelligenza alle nostre proposte. Da anni oramai facciamo sorveglianza continuativa delle principali Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie (IOS), monitoriamo i germi sentinella e multiresistenti, elaboriamo e diffondiamo protocolli e linee guida, formiamo ogni anno centinaia di operatori, organizziamo audit nei reparti, i dati dei monitoraggi sono inseriti tra gli indicatori di qualità, eccetera, eccetera!
Se è vero che un sistema di sorveglianza delle IOS non può fare solo della filosofia ma deve portare anche a risultati tangibili, questi sono stati sia la riduzione dei tassi di infezione ma anche un visibile cambiamento di approccio degli operatori verso il problema.  Le storie del vecchio primario sono ormai entrate nella leggenda ed oggi è normale girare nei reparti e fermarti a discutere con medici ed infermieri del problema infettivo e capire che questo è riconosciuto e non nascosto o negato.
Naturalmente le difficoltà sono state notevoli e non mancano ancora oggi lacune e criticità che spesso sembrano insormontabili: tra le più importanti, la mancanza di una progettualità a livello politico (sto pensando alla mia Regione) e di conseguenza a livello di dirigenza aziendale ed un supporto inesistente da parte dei servizi informatici, per cui senza la vecchia cara CARTA tanti progetti non sarebbero mai partiti.
Un desiderio per il futuro? Metterei al primo posto un lavoro di rete, non solo tra i diversi ospedali e i rispettivi Comitati Infezioni Ospedaliere ma anche tra territorio, strutture riabilitative, residenze per anziani e Medici di Medicina Generale, ed un coinvolgimento sempre più forte del paziente e dei suoi familiari: sono convinta che sia arrivato il momento in cui la prevenzione delle IOS non vada relegata agli ospedali ma diventi patrimonio comune e obiettivo prioritario di chiunque si occupi di salute.
Oggi il Don Chisciotte mi sembra un ricordo lontano che a volte mi fa sorridere ma a volte mi ricorda che, non appena ti sembra di aver risolto un problema, ti si presenta una nuova battaglia da combattere, non da ultima quella contro i germi multiresistenti che, come tutti gli organismi più minuscoli ma incredibilmente potenti, sono riusciti in breve tempo ad attrezzarsi contro le nostre ingenue convinzioni. E sono proprio loro che oggi ci obbligano a mettere in seria discussione i nostri modelli di cura e a prendere atto che ora la priorità assoluta è somministrare antibiotici giusti al momento giusto e lavarsi le mani: due cose apparentemente banali ma, lo sappiamo bene, di così difficile applicazione.
Se qualche Infermiera addetta al controllo delle IOS teme di restare disoccupata, si tranquillizzi! Penso che anche per il futuro il lavoro non ci mancherà.  ▪