Clostridioides difficile : un nuovo nome per una vecchia conoscenza
Clostridioides difficile: a new name for an old acquaintance

Enrica Martini
SOD Igiene Ospedaliera
Azienda Ospedaliero-Universitaria
Ospedali Riuniti di Ancona

Nel 2019 i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) pubblicano il report “Antibiotic resistance threats in the United States 2019”, 1 il secondo del suo genere dopo quello del 2013, che presenta i dati relativi ai 18 principali patogeni resistenti agli antibiotici che costituiscono una minaccia per la salute pubblica degli Stati Uniti. Il report include le stime delle infezioni e dei morti provocati dal fenomeno della resistenza agli antibiotici negli USA. I 18 patogeni considerati nel report vengono classificati in tre categorie: minacce urgenti, gravi e preoccupanti. Tra quelle urgenti troviamo anche le infezioni da Clostridioides difficile ( C. difficile ), non causate da un multiresistente in senso stretto, ma incluse perché correlate all’uso degli antibiotici e alla comparsa di resistenze.
Sebbene le infezioni da C. difficile negli Stati Uniti mostrino negli ultimi anni un trend in lieve diminuzione 1 , esse colpiscono ogni anno centinaia di migliaia di persone e sono responsabili, direttamente o indirettamente, di migliaia di morti. In Europa i risultati di due studi di prevalenza condotti nel periodo 2016-2017 negli ospedali per acuti e nelle lungodegenze, dimostrano che il C. difficile è responsabile rispettivamente del 7,3% e del 4,4% delle infezioni correlate all’assistenza registrate dagli studi. 2  
Questo dei CDC non è il primo, ma sicuramente è uno dei documenti più autorevoli e diffusi a livello internazionale che utilizza il nuovo nome assegnato al Clostridium difficile : Clostridioides difficile. Un termine che non è ancora universalmente usato e che presumibilmente impiegherà ancora del tempo ad entrare nell’uso comune.
La storia del C. difficile inizia quando nel 1935 Ivan C. Hall e Elizabeth O’Toole 3 isolarono in materiale fecale di neonati un batterio che venne denominato inizialmente Bacillus difficilis , per la difficoltà incontrata nel suo isolamento e per la sua estrema lentezza di crescita in coltura. Successivamente il microrganismo fu assegnato al genere Clostridium per le caratteristiche fenotipiche che lo rendevano simile agli altri membri della famiglia: anaerobio, Gram-positivo, sporigeno. Divenne quindi a tutti gli effetti Clostridium difficile .
Con l’avvento delle metodiche molecolari, cominciarono ad essere studiate le diversità filogenetiche del genere Clostridium , apportando sempre nuove conoscenze su particolari sequenze geniche importanti per la classificazione del genere. In particolare, l’appartenenza al “rRNA cluster I” fu riconosciuta come quella caratterizzante il genere Clostridium vero e proprio. Nel 2015 Lawson e Rainey 4 avanzarono la proposta di circoscrivere il genere Clostridium al C. butyricum e specie correlate, tutte appartenenti al suddetto “cluster I”. Delle 238 specie e sottospecie appartenenti al genere, solo meno di 80 potevano essere considerate Clostridium in senso stretto. Tra gli esclusi il C. difficile, compreso nel cluster XI.
Una ulteriore complicazione si presentò quando, sempre sulla base di studi molecolari, venne proposto che i microrganismi appartenenti al cluster XI dovessero essere inclusi in una nuova famiglia denominata Peptostreptococcaceae. Yutin e Galperin, 5 confermando l’appartenenza del Clostridium a questa famiglia, proposero di coniare il nuovo genere del Peptoclostridium  per mantenere un legame con la precedente denominazione.
Ma passare indenni dal Clostridium difficile al Peptoclostridium difficile si rivelò una “ mission impossible” .
I termini Clostridium difficile, C. diff. e tutti gli acronimi ad essi collegati (CDI – C. difficile infection; CDAD – C. difficile  associated diarrhea) avrebbero dovuto essere modificati in PDI e PDAD, creando confusione con altri simili, associati ad altri tipi di patologie (è nota la predilezione anglosassone per acronimi di ogni specie).
Adottare un nome decisamente diverso avrebbe inoltre comportato danni economici rilevantissimi per la necessità di aggiornare materiali, imballaggi, marchi di prodotti, nomi registrati, tecnologie informatiche, ecc., oltre allo spreco di tutto il materiale esistente, non più utilizzabile. Le aziende commerciali avrebbero dovuto modificare cataloghi, siti e pagine web; gli ospedali aggiornare test diagnostici, reportistica, codici farmaceutici ed amministrativi, protocolli, materiali formativi e divulgativi, e così via. Ci sarebbero voluti anni per un cambiamento completo e definitivo, e, in ambito clinico, l’inevitabile confusione nella terminologia avrebbe potuto comportare molteplici effetti negativi sull’assistenza e sulla cura dei pazienti.
Nel 2016 la definitiva riclassificazione del C. difficile , oramai divenuta inevitabile, fu possibile grazie alla controproposta di Lawson, Citron, Tyrrell e Finegold 6 di scegliere piuttosto un nuovo nome che iniziasse con la C, anzi meglio ancora con “Clost” in modo da poter continuare ad utilizzare le abbreviazioni C. difficile , C. diff . e tutti gli acronimi collegati; le più modeste modifiche necessarie su documenti, marchi, imballaggi ecc. sarebbero state accettabili. La loro proposta di denominare il nuovo genere “ Clostridioides ” sembrò subito la più plausibile, tanto più che il suffisso - oides, derivante dal greco eidos che significa forma, aspetto, richiamava la somiglianza del nuovo genere con il Clostridium .
Nel luglio dello stesso anno, nella hall di un hotel a Nashville, Tennessee, il Dr. Paul Lawson, professore ordinario presso il Dipartimento di Microbiologia e Biologia vegetale dell’Università dell’Oklahoma, ricevette una standing ovation da più di 400 microbiologi clinici partecipanti al congresso biennale della Anaerobe Society of the Americas per il fatto di aver evitato, con la sua brillante intuizione, una potenziale catastrofe scientifica dovuta alla necessità di rinominare uno dei più noti microrganismi, responsabile di gran parte delle infezioni correlate all’assistenza negli Stati Uniti.
L’approvazione della nuova denominazione è stata pubblicata ufficialmente nel 2017 sull’International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology. 7 L’unica altra specie conosciuta all’interno del genere Clostridioides è attualmente il Clostridioides mangenotii , precedentemente noto come Clostridium mangenotii , rilevato in feci umane, sedimenti marini e nel suolo.
Nel 2018 il Clinical & Laboratory Standards Institute (CLSI), che definisce gli standard di qualità nei test di laboratorio è stato il primo ente che ha deciso di adottare il nuovo nome, 8 seguito subito dopo dai CDC, che hanno motivato tale scelta sulla base dell’evidenza scientifica e della decisione del CLSI. La pagina web dei CDC dedicata a questo microrganismo è stata da tempo aggiornata con la nuova definizione; 9 quella dell’IDSA (Infectious Diseases Society of America) invece riporta ancora il termine Clostridium in quanto l’ultima revisione delle linee guida prodotte da IDSA in associazione con la SHEA (Society for Healthcare Epidemiology of America) risale al 2017. 10  
La nuova denominazione, anche se impiegherà ancora del tempo a soppiantare la precedente, non deve far dimenticare che per la prevenzione delle infezioni da Clostridioides difficile gli operatori sanitari devono affidarsi alle sempre valide regole dell’igiene delle mani, del corretto uso dei guanti, delle procedure di disinfezione/sterilizzazione dei dispositivi, della sanificazione ambientale; le pratiche di controllo delle infezioni, unite ad una ottimale gestione degli antibiotici, potranno continuare a salvare vite umane.  ▪

Bibliografia/Sitografia
1. CDC. Antibiotic Resistance Threats in the United States, 2019. Atlanta, GA: U.S. Department of Health and Human Services, CDC; 2019. www.cdc.gov/DrugResistance/Biggest-Threats. html.
2. Suetens C, et al. Prevalence of healthcare-associated infections, estimated incidence and composite antimicrobial resistance index in acute care hospitals and long-term care facilities: results from two European point prevalence surveys, 2016 to 2017. Eurosurveillance 2018;23:46.
3. Hall IC, O’Toole. E. Intestinal flora in newborn infants with a description of a new pathogenic anaerobe, Bacillus difficilis. American Journal of Diseases of Children 1935;49(2):390-402.
4. Lawson PA, Rainey FA. Proposal to restrict the genus Clostridium (Prazmowski) to Clostridium butyricum and related species. Int J Syst Evol. Microbiol 2015;66:1009-16.
5. Yutin N, Galperin MY. A genomic update on clostridial phylogeny: Gram-negative spore formers and other misplaced clostridia. Environ Microbiol 2013;15(10):2631-41.
6. Lawson PA, Citron DM, Tyrrell KL, Finegold SM. Reclassification of Clostridium difficile as Clostridioides difficile (Hall and O’Toole, 1935) Prevot 1938. Anaerobe 2016;40:95-9.
7. Oren A, Garrity GM. List of new names and new combinations previously effectively, but not validly, published. Int J Syst Evol Microbiol 2017;67(9):3140-3.
8. CLSI AST News Update 2018;3(1). https://clsi.org/media/1974/ ast_news_update_jan18.pdf
9. CDC>Healthcare-associated Infections (HAI)>Diseases and Organisms. Clostridioides difficile infections https://www.cdc.gov /hai/organisms/ cdiff/cdiff_infect.html
10. Mc Donald LC et al. Clinical Practice Guidelines for Clostridium difficile Infection in Adults and Children: 2017 Update by the Infectious Diseases Society of America (IDSA) and Society for Healthcare Epidemiology of America (SHEA). CID 2018:66 (1 April).