COVID-19 a Messina
COVID-19 in Messina

Placido Mondello
UOC di Malattie Infettive
AOU Policlinico G. Martino
Messina

Il 22 febbraio 2020 in Lombardia moriva il primo paziente a causa di COVID-19. A Messina nella stessa giornata ci confrontavamo per la prima volta con il virus, sospettato in un paziente febbrile proveniente da una delle aree a rischio del nord Italia. Fortunatamente in quel caso gli esami diedero esito negativo.
Credevamo che nel futuro prossimo potesse essere questa la tipologia di pazienti che avremmo incontrato e avevamo un vantaggio, quello di poter utilizzare l’esperienza delle regioni dell’Italia settentrionale per poterci organizzare al meglio.
Avevamo realizzato una unità di crisi e avevamo avuto il tempo di redigere un “Piano di emergenza COVID-19” che assecondasse le direttive regionali. Quante volte poi avremmo dovuto modificare il piano adattandolo alle mutate circostanze, fino ad arrivare a redigere un piano di emergenza generale da massiccio afflusso di casi sospetti o conclamati COVID-19.
Avevamo le terapie intensive pronte, avevamo identificato i percorsi specifici, avevamo buone scorte di dispositivi di sicurezza, ventilatori a sufficienza, il personale aveva frequentato i corsi di addestramento …
Poi nel giro di una settimana è cambiato tutto. Un focolaio di notevoli dimensioni si è acceso improvvisamente in una grande struttura sanitaria di riabilitazione per pazienti neurolesi e, ad esso collegato, ancora un altro in una struttura residenziale per anziani.
Siamo stati travolti e abbiamo vissuto le stesse scene viste fino ad allora nei telegiornali: le file di ambulanze davanti l’ingresso del centro COVID che aspettavano di rilasciare i pazienti affetti, le file davanti agli ascensori che distribuivano i pazienti nei piani a seconda della gravità, i telefoni impazziti con i parenti che chiedevano notizie dei loro congiunti, operatori non riconoscibili nelle loro tute bianche che si incrociavano freneticamente… A volte i pazienti arrivavano come fantasmi privi di documenti – rimasti nella struttura di provenienza nell’urgenza del trasferimento – che ci dicessero chi fossero e quale fosse la loro storia. Non sapevamo nulla di loro. La maggioranza non era in grado di relazionarsi a causa delle condizioni di salute precedenti l’infezione del virus.
E allora la nostra iniziale sicurezza pian piano si è trasformata in sgomento. Come avremmo saputo curare pazienti con i quali non si poteva parlare? Come combattere il virus e allo stesso tempo le malattie che affliggevano questi pazienti fragili e teneri?
Ma questo stato di cose è durato solo per breve tempo. Abbiamo unito le forze e lavorato insieme infettivologi, pneumologi, neurologi, medici di medicina d’urgenza, nefrologi, rianimatori, infermieri, volontari. Dovevamo sconfiggerlo questo maledetto virus.
Alcuni pazienti ci hanno lasciati, ma la maggioranza è stata dimessa e siamo anche riusciti a festeggiare, prima della dimissione, il centesimo compleanno di una nonnina.