Comportamento di tutti gli operatori (sanitari e non solo) delle organizzazioni sanitarie al di fuori dell’attività lavorativa in corso di epidemia di COVID-19

Annibale Raglio

Referente Comitato Italiano EUCIC


Behavior of all operators (health care and not only) of health organizations outside of work during the COVID-19 epidemic


Il numero dei casi di COVID-19 torna, purtroppo, a preoccupare. È noto l’elevato rischio di acquisire l’infezione da SARS-CoV-2 da parte degli operatori sanitari, in particolare, ma anche degli operatori tecnici e amministrativi, durante la loro attività lavorativa in ambito sanitario e soprattutto in fase epidemica con l’aumento del numero di casi.

Ogni giorno si legge di un focolaio di infezione da SARS-CoV-2 fra operatori in un reparto e/o in una organizzazione sanitaria (OS) quali le case di riposo. Se non vengono prese le adeguate precauzioni da contatto e da goccioline, l’infezione da SARS-CoV-2 in una OS si diffonde con una facilità estrema: si pensi a cosa è accaduto nei primi mesi dell’anno in alcuni ospedali o strutture per anziani.

È stato, però, segnalato che un discreto numero di operatori delle strutture sanitarie ha contratto l’infezione da SARS-CoV2 al di fuori dell’attività lavorativa. In particolare, con l’aumento dei casi sul territorio è elevato il rischio che gli operatori, sanitari e no, delle organizzazioni sanitarie possano acquisire l’infezione al di fuori dell’attività lavorativa, con il successivo rischio di trasmissione nell’ambito sia famigliare che lavorativo. Per questo si ritiene rilevante sottolineare l’importanza di un comportamento adeguato degli operatori ospedalieri, sanitari e non sanitari, anche al di fuori dell’attività lavorativa: a casa, in attività ricreative ed in particolare in un luogo pubblico o con amici. Tutti, ma in particolare gli operatori delle organizzazioni sanitarie, dovrebbero ricordare che anche al di fuori della propria attività lavorativa devono essere applicate le stesse regole di precauzione adottate durante il lavoro. Un operatore di una struttura sanitaria che si infetta è un grosso rischio per la sua organizzazione lavorativa sia per la potenziale diffusione della infezione che per la conseguente perdita di forza lavoro.

In uno studio, condotto fra il 7 e 12 marzo 2020, agli inizi della diffusione in Olanda, “SARS-CoV-2 infection in 86 healthcare workers in two Dutch hospitals in March 2020”, (medRxiv preprint doi: https://doi.org/10.1101/2020.03.23. 20041913), Jan Kluytmans e colleghi hanno dimostrato che su 1.353 operatori testati (corrispondenti al 14% dei 9.705 che lavoravano in due ospedali, uno di 700 e l’altro di 800 posti-letto) l’86,6%, è risultato positivo per la presenza di SARS-CoV-2. Solo per tre operatori è stato possibile confermare il contatto con i pochi casi allora ricoverati. Gli autori scrivono: “Due settimane dopo la segnalazione del primo paziente olandese con COVID-19, la prevalenza di COVID-19 negli operatori sanitari con febbre o sintomi respiratori in due ospedali olandesi nella parte meridionale dei Paesi Bassi è risultata del 6%. Questa inaspettata alta prevalenza ha supportato l’ipotesi di una sottostimata diffusione di SARS-CoV-2 nella comunità ed è considerata una stima minima della prevalenza in tutti gli operatori sanitari al momento dello screening”.

L’esperienza sin qui acquisita suggerisce che tutta la popolazione deve applicare poche, semplici regole: distanziamento spaziale (braccia allargate come elicottero), mascherina (adeguata e sopra il naso), igiene delle mani (nel rispetto dei momenti e dei corretti movimenti), igiene ambientale (disinfezione delle superfici e degli oggetti comuni). Tutti gli operatori di tutte le categorie delle organizzazioni sanitarie dovrebbero essere un esempio sia sul lavoro ma anche, e si potrebbe dire soprattutto, nella vita comunitaria fuori dall’ambito lavorativo. Non è ammissibile vedere operatori sanitari che parlano vicini senza mascherina nei corridoi della struttura sanitaria oppure sentire che alcuni vanno al bar con gli amici tutte le sere e confermano la difficoltà di applicare le ormai note e semplici regole.

SIMPIOS e l’European Committee on Infection Control (EUCIC) ritengono importante trasmettere questo messaggio con la speranza di stimolare tutti, popolazione e operatori di tutti i livelli di tutte le organizzazioni sanitarie ad avere un comportamento sempre più responsabile e condiviso, pur sapendo tutti che ciò costa sacrificio psicologico ed economico. Dobbiamo fare un patto di collaborazione per aiutarci e ricordarci a vicenda come ci dobbiamo comportare. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/hcp/infection-control-recommendations.html. 



Commento a cura del comitato editoriale

Pubblichiamo questa accorata lettera di Annibale Raglio su un tema di grande importanza e di difficile gestione. Vale la pena di richiamare all’attenzione che gli operatori sanitari

– a causa dell’epidemia sono stati spesso sottoposti ad un importante stress per quanto essa comporta in ambito sanitario e sociale, per la sua lunga durata, per l’esigenza di modificare i propri comportamenti nell’ambito lavorativo-sanitario e sociale, dove pure si pone l’esigenza di porre in atto limitazioni della libertà individuale,

– per il ruolo che ricoprono sono tenuti ad applicare, sul lavoro ma anche nella vita sociale, le regole basilari sopra citate perché ciò è corretto ed anche perché essi dovrebbero rappresentare un esempio virtuoso per i non addetti ai lavori.

Gli operatori sanitari sono uomini come tutti gli altri, non degli asceti o dei monaci tibetani, ed è molto complesso richiedere un ulteriore impegno emotivamente rilevante mirato al contenimento della pandemia. Crediamo che questa lettera possa stimolare una discussione interessante, da sviluppare sulle pagine della nostra rivista e sul nostro sito web.