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Silvia Zelli, Giulia De Angelis*

 


Impatto della co-somministrazione dei vaccini
per Covid-19 e influenza

Il termine ‘Fluorona’ è comparso circa due anni fa, in Israele, e sta ad indicare la co-infezione di Covid-19 e influenza. Oggi se ne torna a parlare in vista dell’aumento dei contagi dovuti alla stagionalità dei virus influenzali e alla diffusione di nuove varianti di SARS-CoV-2.

La possibilità di proteggere contemporaneamente dalle infezioni dai virus di influenza e SARS-CoV-2 è cruciale per prevenire malattie gravi associate alla co-infezione con entrambi i virus. Sulla base di questa urgente necessità, e per aumentare i tassi di immunizzazione e ridurre i costi del sistema nazionale sanitario, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha emesso una raccomandazione nell'ottobre 2021 per amministrare simultaneamente entrambi i vaccini, sulla base di prove cliniche.

Tuttavia, le implicazioni di questa strategia vaccinale non erano finora ben chiare. Nello studio di Radner et al. pubblicato sulla rivista Clinical Microbiology and Infection è stata valutata l'immunogenicità e la sicurezza della dose di richiamo del vaccino Pfizer-BioNTech Covid-19 (BNT162b2) quando somministrato contemporaneamente o meno a due vaccini antinfluenzali quadrivalenti stagionali (Vaxigrip Tetra o Fluarix Tetra). Sono stati considerati tre gruppi: uno che riceveva solo il richiamo BNT162b2, uno solo il vaccino anti-influenzale, e uno che riceveva entrambi i vaccini contemporaneamente. L'ipotesi primaria era che l'immunogenicità nella combinazione fosse più bassa a causa di un'interferenza immunitaria. Lo studio è stato condotto su 838 operatori sanitari, divisi nei gruppi sopra menzionati. Gli eventi avversi sono stati monitorati per un mese dopo la vaccinazione. Gli autori hanno dimostrato che il livello di anticorpi diretti contro il dominio di legame al recettore (RBD) del SARS-CoV-2 risultava diminuito quando il vaccino per Covid-19 veniva somministrato insieme al vaccino anti-influenzale, seppur ancora conservando livelli accettabili, rispetto alla somministrazione come singola dose. La dimensione del campione del solo gruppo vaccino antinfluenzale era insufficiente per valutare l'effetto sull'immunogenicità del vaccino antinfluenzale.

Nonostante le limitazioni dello studio, i dati ottenuti meritano una riflessione e un’analisi più accurata. Risulta non essere raro il cambiamento nell'immunogenicità di uno dei vaccini co-somministrati, come suggerito dallo studio attuale. Un possibile meccanismo potrebbe essere dovuto alla competizione per le risorse immunitarie necessarie per l'inizio della risposta vaccinale nel linfonodo che drena il sito di iniezione, come il reclutamento di linfociti o monociti, che potrebbe ridurre eventualmente il numero di cellule T e B naive o di memoria stimolate, contribuendo alla risposta immunitaria. Questo meccanismo potrebbe essere particolarmente accentuato se uno dei vaccini co-somministrati inducesse una stimolazione immunitaria più forte.

Dal presente studio emerge come sia importante valutare la durata della risposta immunitaria e, quindi, l'effetto protettivo del vaccino che risulta essere alterato dalla co-somministrazione nel lungo termine. Ulteriori misurazioni delle risposte cellulari dovrebbero essere messe in atto per avere un quadro più chiaro. Le cellule di memoria B e T sono effettivamente cruciali per prevenire malattie gravi e probabilmente rappresentano il determinante chiave della risposta protettiva.

Sarà fondamentale continuare a valutare la co-somministrazione di altri vaccini in futuro, poiché i richiami dei vaccini Covid-19 sono destinati a diventare parte della routine di immunizzazione in futuro, almeno nelle popolazioni vulnerabili.

Radner H, Sieghart D, Jorda A, et al. Reduced immunogenicity of BNT162b2 booster vaccination in combination with a tetravalent influenza vaccination: results of a prospective cohort study in 838 health workers. Clin Microbiol Infect 2023; 29: 635-41.




Uso combinato di pannello sindromico molecolare e procalcitonina per migliorare l’uso degli antibiotici nelle polmoniti severe da virus SARS-CoV-2

La gestione delle polmoniti gravi da SARS-CoV-2 è estremamente complessa e ancora di grande attualità. Nelle fasi iniziali della pandemia numerose classi antibiotiche sono state abbondantemente prescritte per il trattamento di presunte co-infezioni batteriche. Tuttavia, l’evidenza ha dimostrato che l’incidenza di co-infezione o sovra-infezione batterica nelle infezioni Covid-19 è variabile ma più bassa di quanto inizialmente stimato, e ciò ha probabilmente condotto ad un abuso di antibiotici, almeno nella fase pandemica iniziale. Attualmente, le linee guida raccomandano l’uso di terapia antimicrobica empirica nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica e con insufficienza respiratoria. Per indicare meglio lo stato della malattia rispetto alla co-infezione batterica durante le infezioni respiratorie virali, i medici si affidano a biomarcatori come la procalcitonina e test microbiologici rapidi e sensibili come i pannelli sindromici molecolari basati su PCR.

In questo studio, Fartoukh et al. hanno condotto un trial randomizzato controllato (MULTICOV trial) in 13 reparti di Terapia Intensiva francesi, per confrontare l’effetto di una strategia combinata basata sull’uso di diagnosi rapida con test molecolare (mPCR) e misurazione di PCT quotidiana, rispetto a strategia convenzionale (antigene urinario di Streptococcus pneumoniae e Legionella pneumophila, ed esame colturale convenzionale di lavaggio broncoalveolare o tracheoaspirato bronchiale) in pazienti con polmoniti gravi in corso di Covid-19. Novantatre pazienti sono stati assegnati al gruppo di intervento e 98 pazienti a quello di controllo, di cui 89 e 91 avevano iniziato una terapia antibiotica empirica, rispettivamente. Tuttavia, una diagnosi microbiologica è stata confermata in 45 (48,4%) e 21 (21,4%) pazienti nei due gruppi. A 28 giorni dopo la randomizzazione, il numero mediano di giorni senza antibiotici è stato di 12 giorni nel gruppo di intervento e di 14 nel gruppo di controllo, con una differenza non statisticamente significativa tra i due gruppi. Tuttavia, il numero di giorni senza antibiotici misurato al giorno 7 dopo la randomizzazione è risultato superiore di 2 giorni nel gruppo di intervento rispetto al gruppo di controllo. Questo risultato ha suggerito che il tempo di analisi a 28 giorni sia stato troppo ambizioso da misurare, in un tipo di popolazione in cui la gravità del quadro clinico condiziona le decisioni terapeutiche costantemente per tutta la durata della condizione patologica. Pertanto, interventi diagnostici andrebbero valutati vicino al tempo di applicazione e analisi (7 giorni, ad esempio), e meno a lungo termine (28 giorni).

In sintesi, lo studio non ha dimostrato un impatto significativo della strategia sulla diminuzione complessiva dell’esposizione agli antibiotici rispetto alla gestione di routine, ma si è osservato un aumento notevole del tasso di diagnosi microbiologica utilizzando test molecolari rispetto ai test convenzionali.

Fartoukh M, Nseir S, Mégarbane B, et al. Respiratory multiplex PCR and procalcitonin to reduce antibiotic exposure in severe SARS-CoV-2 pneumonia: a multicentre randomized controlled trial. Clin Microbiol Infect 2023; 29: 734-43.




Impatto delle misure di prevenzione Covid-19 su altre infezioni virali respiratorie

Le infezioni virali respiratorie acquisite in ambiente di cura rappresentano un problema molto grave, poiché associate ad un aumento della durata della degenza e ad elevati tassi di mortalità. In risposta alla pandemia Covid-19, gli ospedali di tutto il mondo hanno implementato misure di prevenzione e controllo delle infezioni respiratorie per ridurre la trasmissione nosocomiale di SARS-CoV-2, tra cui l’uso di mascherine, screening periodico dello stato di salute del personale, e restrizioni per i visitatori. Poiché queste misure di prevenzione hanno un impatto sulla trasmissione di tutti i virus respiratori, Ehrenzeller et al. hanno valutato l’evoluzione dell’incidenza delle principali infezioni virali respiratorie non Covid-19 nel corso di un periodo di 8 anni, incluso il periodo della pandemia, considerando tutte le misure di controllo e prevenzione istituite all’interno di un ospedale.

È stata valutata la frequenza mensile delle infezioni virali respiratorie ospedaliere per 1.000 ricoveri, causate da influenza, parainfluenza, adenovirus, e virus respiratorio sinciziale (RSV) identificati con sistema molecolare su campioni respiratori tra ottobre 2015 e aprile 2023. Sono state eseguite le analisi in 3 diversi periodi: pre-pandemia, durante la pandemia e post-pandemia. È stato osservato come la maggior parte delle infezioni si verificasse nei mesi autunnali e invernali e il tasso di incidenza è stato più alto nell’inverno 2019/2020 e più basso nel 2020/2021. Durante la pandemia è stata osservata una diminuzione del 100% dell’influenza e del 40-60% del RSV di origine ospedaliera rispetto al periodo pre-pandemia.

Alla luce di questi risultati, l’implemento delle molteplici misure per ridurre la trasmissione di SARS-CoV-2 sono state associale ad una diminuzione delle infezioni nosocomiali anche di altri virus respiratori. In linea con altri studi è stata dimostrata una riduzione delle infezioni virali, suggerendo che le misure di prevenzione, in particolare l’uso delle mascherine, riducono emissioni virali del 60%, sottolineando l’impatto positivo sulla trasmissione di virus anche diversi da SARS-CoV-2 nelle strutture ospedaliere.

Ehrenzeller S, Chen T, Vaidya V, et al. Impact of SARS-CoV-2 Prevention measures on non-sars-cov-2 hospital-onset respiratory viral infections: an incidence trend analysis from 2015-2023. Clin Infect Dis 2023; 77: 1696-9.  




L’intelligenza artificiale può sostituire un medico nella gestione delle infezioni del torrente circolatorio?

L’intelligenza artificiale è un campo promettente nel settore sanitario. Gli assistenti virtuali, denominati Chabot, sono modelli di linguaggio avanzati in grado di fornire risposte semplici a una domanda in, potenzialmente, qualsiasi ambito, incluso quello clinico. Tra questi, Chat Generative Pre-training Transformer 4 (ChatGPT-4) è uno dei più conosciuti. Sebbene non sia stato sviluppato specificamente per il settore sanitario, ChatGPT ha dimostrato la capacità di superare gli esami di licenza medica negli Stati Uniti per gli studenti di medicina del terzo anno e ha fornito risposte complessivamente soddisfacenti a vignette cliniche complesse o a casi reali selezionati di problemi di malattie infettive. Ci si è chiesti, quindi, se abbia il potenziale di costituire un’alternativa affidabile al consulente infettivologo nella gestione dei pazienti con infezione.

In uno studio prospettico di coorte, Maillard et al. hanno valutato la qualità e la sicurezza di ChatGPT-4 nella gestione di pazienti con emocolture positive in un ospedale di terzo livello. Lo studio ha confrontato i piani di gestione suggeriti da ChatGPT-4 con quelli raccomandati dai consulenti di malattie infettive. Ogni consulenza di malattie infettive generava un report con un piano di gestione e i relativi dati del paziente. Dopo la prima consulenza i dati sono stati forniti a chatGPT-4 a cui è stato chiesto di proporre un piano di gestione completo: diagnosi, gestione antibiotica, follow up. Tutte le valutazioni sono state considerate appropriate se identiche a quelle del consulente medico.

In totale, sono state analizzate 73 emocolture positive raccolte da 44 episodi in 44 pazienti. I microrganismi identificati erano principalmente Enterobacterales (34%), Staphylococcus spp. (41%), e batteri gram-negativi non fermentanti (11%). Le diagnosi finali principali erano infezioni correlate a catetere in 12 (27%) pazienti, infezioni del tratto urinario in 8 (18%), infezioni del sito chirurgico in 6 (14%), e contaminazione del campione in 12 (27%). Le diagnosi di ChatGPT sono risultate identiche a quelle del consulente in 26 casi (59%). Gli approcci diagnostici suggeriti erano soddisfacenti (cioè, senza omissione di test diagnostici importanti) in 35 casi (80%); le terapie antimicrobiche empiriche erano adeguate in 28 casi (64%) e dannose in 1 caso (2%). Le terapie antibiotiche definitive erano ottimali in 16 pazienti (36%) e dannose in 2 (5%). Nel complesso, i piani di gestione sono stati considerati ottimali solo in 1 paziente, soddisfacenti in 17 (39%), e dannosi in 7 (16%).

In questo studio pilota la prestazione di chat-GPT-4 è risultata soddisfacente considerando la complessità delle situazioni cliniche ma troppo lontana dall’essere ottimale e non traducibile nella pratica, fino ad oggi. Possiamo tuttavia aspettarci che, in un futuro non troppo lontano, modelli di intelligenza artificiale come ChatGPT possano essere migliorati per ridurre errori ed omissioni, fornendo un valido aiuto all’attività clinica.

Maillard A, Micheli G, Lefevre L, et al.  Can Chatbot artificial intelligence replace infectious disease physicians in the management of bloodstream infections? A prospective cohort study. Clin Infect Dis 2023; Advance online publication. https://doi.org/10.1093/cid/ciad632.